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20 novembre 2008

camillo


Camillo è un giocatore dello snai.

Camillo è soprannominato il dottore. E' anziano, ma forse nemmeno troppo.
Camillo passa le sue giornate in sala corse, quella sala bianca, senza finestre, vuota. Si guarda tutte le corse in programma e gioca poco, un euro o due per volta. Alle 12 va a mangiare alla caritas e dopo pranzo torna.
Camillo, quando vince, corre a comprarsi qualcosa da bere, spesso è vino rosso. Le mie colleghe una volta gli hanno requisito la bottiglia e se la sono scolata loro, alla faccia sua.
Camillo ha una giacca sul verde, logora, piena di macchie. Temo che non l'abbia mai lavata davvero.
Camillo puzza e quando parla non si capisce niente. E' sdentato credo o semplicemente si mangia le parole.
Camillo non parla mai di niente. A chi gli fa delle domande o lo prende in giro risponde sempre e solo la solita litania: "Non rompere i coglioni", dice.
Camillo una volta ha dato della troia ad una mia collega. Se ci penso mi sembra di sentire quella parola detta con tanta fatica, come se il suo fiato fosse davvero prezioso. Troia disse, sputando anche, per lo sforzo.
Camillo, in sala corse, mangia le salsicce crude o i fichi, e quando vince ti porta le schedine sporche, con i rimasugli di cibo.
Camillo, una volta che il bagno del bar era occupato, si è fatto la cacca nei pantaloni, in mezzo alla sala. C'era chi voleva picchiarlo quel giorno, perchè puzzava.
Camillo è una carogna, quando viene alla cassa a giocare, tenta in ogni modo di confonderti per fregarti i soldi.
A Camillo ho dedicato il mio primo vero racconto. Raccontava di un uomo disperato che muore.

Camillo è morto. ieri.
In sala, oggi ne parlavano tutti. Non parlavano di lui, dicevano solo che era morto.
Camillo è morto ieri. sul serio.
Questo è un omaggio per lui; per un uomo che se ne è andato senza mai parlare a nessuno.


"Le corse dei cavalli invece sono un inferno. Io me ne sto per conto mio. Non parlo con nessuno. È già qualcosa. Chiaro, i picchetti mi conoscono. Però devo andare allo sportello, usare la voce. Dopo anni, finiscono per conoscerti. E molti di loro sono persone decenti. Penso che tutti quegli anni passati a contatto con la gente gli forniscono un certo intuito. Per esempio, sanno che la maggior parte degli esseri umani sono dei grossi pezzi di merda. E comunque anche con i picchetti mantengo le distanze. Standomene sulle mie, ho un vantaggio. Potrei farlo a casa mia. Potrei chiudermi dentro e giocherellare con le tempere o qualcos'altro. Invece in qualche modo devo uscire e assicurarmi che l'Umanità, più o meno tutta, è sempre un grosso pezzo di merda. Come se potesse cambiare! Ehi, gente, devo essere pazzo. Eppure laggiù c'è qualcosa, insomma, laggiù per esempio non penso alla morte, laggiù ti senti troppo stupido per riuscire a pensare. Mi sono preso un quaderno, pensavo: be', fra una corsa e l'altra scriverò qualcosa. Impossibile. L'aria è piatta e pesante, siamo tutti membri volontari di un campo di concentramento. Quando torno a casa, allora sì che posso meditare sulla morte. Solo un pochino. Non troppo. Non mi preoccupo di morire e non provo dispiacere. Mi sembra solo una schifezza. Quando? Mercoledì sera? O mentre dormo? O a causa dei prossimi orribili postumi di una sbornia? Incidente d'auto? E' un peso, qualcosa che bisogna fare. E me ne andrò senza fede in Dio. Va bene, posso affrontarla a testa alta. È una di quelle cose che bisogna fare, come mettersi le scarpe al mattino."
C. Bukowski. "il capitano è fuori a pranzo"

10 agosto 2008

Babel Fish

Tutto ciò che le allegorie vogliono significare è semplicemente che l'incomprensibile è incomprensibile, e che noi lo sappiamo già. Ma i problemi che dobbiamo affrontare ogni giorno sono una cosa diversa. A questo proposito, una volta un uomo chiese: "Perchè tanta caparbietà? Se seguiste solo le allegorie, diventereste voi stessi allegorie, e risolvereste così tutti i vostri problemi."
Un altro disse: "Scommetto che anche questa è un'allegoria".
Il primo disse:"Hai vinto."
Il secondo disse:"Ahimè, solo allegoricamente".
Il primo disse:"No, nella vita reale. Allegoricamente hai perso."

Franz Kafka.


"Il giorno che preparai la mia valigia-vuota- c'era un grande subbuglio tra i vecchi. L'assemblea era divisa in due, alcuni dicevano che nessuna castagna avrebbe dovuto lasciare il suo guscio e andarsene a spasso per il mondo, altri era incuriositi e ammiravano la sua intraprendenza. Io risolsi il problema: durante la votazioni mi buttai giù, senza salutare nessuno. Il mondo da terra mi sembrava immenso, tutti i miei preparativi mi parvero subito inutili e così andai a casaccio verso il mondo, non sapendo quali splendide avventure avrei vissuto, ma con la consapevolezza che non sarei tornata a casa con la valigia vuota."

Dal "Diaro della Castagna Pellegrina" pag. 17.

Kerrigan leggeva affascinato i racconti della castagna pellegrina, ma doveva farlo di nascosto. Era assolutamente vietato leggere in pubblico quel libro, la castagna infatti era stata bandita ufficialmente da Castagneville, quando era scappata nel bel mezzo della votazione finale per l'approvazione della sua avventura.
Assorto totalmente nella lettura non si accorse quindi dell'arrivo del grande capo, sua altezza reale il Guscio, che senza nemmeno salutare la giovane castagna le strappò di mano il manoscritto e disse con voce irritata:
- cosa diavolo pensi di fare?
- ah, grande Guscio.. io ecco, perchè non fate più entrare la castagna pellegrina?!
- Sciocca giovane castagna, la pellegrina ha sfidato il consiglio e se n'è andata infischiandosene del consenso! Ha sfidato la legge! Non può più tornare!
- Ma sta facendo grandi cose nel mondo dinamico! - disse la castagna facendosi sicura di sè.
- Le castagne sono fatte per essere statiche, non possono girovagare per il mondo, al massimo possono stare nella tasca di qualche bambino umano, ma niente di più!
- Non capisco, Grande Guscio! La castagna pellegrina ha conosciuto tante persone, si è fatta tanti amici, ha conosciuto anche Babel Fish, il Re dei pesci rossi! Ha combattuto con lui, al suo fianco!
- Si è immischiata in una guerra, giovane castagna K., una guerra che non è approvata dal Consiglio delle Castagne.
- Non è vero! la castagna pellegrina è pacifica!
- Mettiti comoda giovane castagna, ora ti racconterò come è andata la storia della castagna pellegrina e Babel Fish.
"Dopo che la castagna pellegrina si buttò giù dall'albero durante le votazioni, atterrò senza troppi problemi grazie alla sua valigia usata come materasso, ma una volta che fu nel mondo dinamico, capì che tutti i progetti e le mappe che aveva disegnato erano inutili visto che dal basso non aveva nessun punto di riferimento. Fu così, che un bimbo la raccolse da terra e se la mise in tasca. Il bimbo una volta a casa si era già stufato della castagna e la lanciò sul tavolo. Oltre al disordine del bambino la castagna vide che non era la sola a essere stata rapita! con lei in angolo giaceva una piccola vasca per pesci, che aveva come ospite un simpatico pesce rosso. A castagneville non si insegna il linguaggio dei pesci, quindi la castagna pellegrina non sapeva in che modo potesse comunicare con il pesciotto."
- Ma grande Guscio! - interruppe il racconto la giovane castagna- lo sanno tutti come la castagna pellegrina ha comunicato con il pesce! raccontami piuttosto come ha fatto a conoscere Babel Fish!
- Hai quindi letto un bel pezzo di quello stupido diario eh? comunque sarai accontentata.
"Pochi giorni dopo, avendo racimolato una mappa della zona, la castagna riuscì a intrufolarsi nelle tasche del bambino e così riuscì a scappare dalla casa. Una volta che il bimbo si accorse di avere la castagna in tasca la lanciò in malo modo proprio davanti a Acquariolandia, patria di tutti i pesci tenuti in cattività. Così facendo bene attenzione la castagna entrò e cercò subito di liberare i pesci rossi dalla morsa dei perfidi piranha! Fu qua che conobbe Babel Fish, il quale le insegnò il linguaggio dei pesci e da quel giorno la castagna ha combattuto fianco a fianco con lui per liberare tutti i pesci rossi!"
- Ma alcuni pesci muoiono quindi?
- Purtroppo sì mia giovane castagna. Alcuni muoiono, questa è la guerra. Ma non preoccuparti come noi andiamo nel paradiso delle castagne, i pesci vanno nel loro paradiso, dove nuotano felici e non ci sono piranha cattivi che cercano di morderli.
- E Babel Fish? - disse la castagna.
- Babel Fish è il capo, un pesce forte e coraggioso.
- E la castagna pellegrina?
- La castagna è là fuori da qualche parte, a volte ci manda pagine del suo diario, le sue avventure, ma noi non permettiamo che torni sull'albero. Ormai ha fatto la sua scelta. Ma adesso basta, giovane castagna, è tempo che tu rientri nel tuo guscio e non pensi più a quella sciocca castagna traditrice.

In memoria di Fagiolo, il mio pesce rosso, che ora nuota felice nel paradiso dei pesci :°)

29 giugno 2008

passi-un racconto horror in 100 parole-

Tap... tap... tap...
Li sento.
Sono loro.
Sono vicini. Non sono pazza, credetemi. Salvatemi da loro, dalla loro puzza marcia. Tutta la città è cambiata. E’ come morta, nell’anima. Ora sto per morire io, stanno venendo a prendermi.
Tap... tap... tap...
Sono i loro passi. Non posso scappare. Posso solo lasciare il mio cuore qui, le mie ultime memorie scritte col sangue su una lurida maglietta. Sento i loro lamenti, urli disperati che portano solo follia e morte. Sono vicini, devo salvarmi, eccoli! No non è possibile.. non può essere vero... sono... oh mio Dio... sono zombie!



19 marzo 2008

Alchimia

"Ricetta:
Un antico castello di cui una buona metà cade a pezzi,
Un lungo corridoio, con numerose porte, di cui parecchie devono essere segrete,
Tre cadaveri ancora belli e sanguinanti,
Tre scheletri impacchettati con cura,
Una vecchia, impiccata e con parecchie pugnalate alla gola,
Ladri e banditi a volontà,
Una dose sufficiente di sospiri, gemiti soffocati o orribili strepiti.
Tutti questi ingredienti, ben mescolati e suddivisi in tre porzioni o volumi, danno un'eccellente mistura che tutti quelli che non hanno il sangue nero possono prendere facendo il bagno, prima di andare a letto.
Ne avranno i più sensibili benefici. Probatum est."

Anonimo - Formula per scrivere un romanzo gotico del 1797 -

Ciò che mi spaventa è l'occulto. L'invisibile agli occhi.
Ho preso la strana abitudine di uscire nella notte. In silenzio, un passo dietro l'altro, nell'oscurità profonda. Le strade mi sono amiche con le mura spesse, le luci spente. Mi sento seguita, a volte. Ho preso un grande cappotto, nero. Cerco sempre di cambiare giro, ma mi accorgo che faccio sempre le solite strade. Ho deciso che fosse saggio appuntarmele in un taccuino. Rosso. Mi piace l'effetto del rosso che scivola dal cappotto. Rosso nel nero. Via Roma, Corso Italia.. la scrittura è veloce, i nomi delle strade abbozzati. Cammino mentre scrivo. A volte mi fermo di scatto e mi guardo indietro. Mi sembra di vedere un piccolo uomo che mi segue. I suoi occhi verdi mi abbagliano e mi devo coprire. Negli ultimi giorni mi accadono coincidenze sempre più strane. Mi trovo davanti piccoli testi di alchimia che pensavo di non possedere. Ho aperto una pagina a caso e ho letto dell'Homunculus. Ho chiuso subito e sono scappata. Non ricordo più dove ho messo il libro, ero certa di averlo lasciato sul tavolo,ma quando sono tornata era scomparso.
Ieri notte mi è caduto il taccuino rosso. L'asfalto era bagnato e ora ha delle macchie orribili sulla copertina. Quando l'ho aperto mi sono sentita svenire. Ho visto che i nomi delle strade erano cambiati, ma la scrittura è la mia, veloce e abbozzata. Non conoscevo quelle strade e non so perchè ma penso di aver buttato il taccuino.
Volevo tornare a casa, ma non riconoscevo le strade, ho continuato per una via enorme con tanti portoni di legno finchè in un angolo non ho visto quella strana figura che mi sembra essere un incrocio fra uno gnomo e un pesce. L'ho seguito nella notte, cercando di non distrarre gli occhi dal verde accecante che emanava quella piccola e svelta figura. Mentre mi affannavo a seguirlo ho visto una porta che si apriva e per un attimo ho sbirciato dentro. Ora mi maledico di averlo fatto!! Illuminati da una sola candela ho visto delle persone deformate discutere intorno ad un tavolo. E' stato solo qualche secondo ma sono certa che non fossero persone normali. Oltre ad avere degli strani cappelli ciò che mi ha fatto rabbrividire è che.. la candela illuminava solo la stanza anche se era posizionata in mezzo al tavolo, mentre loro erano in ombra, neri, senza riflettere la luce. Delle ombre nere. Sono certa che uno di loro mi abbia vista, sentivo dietro di me dei passi rapidi svelti, un grande freddo che mi braccava le spalle. Ho corso, perdendo di vista l'homuncolus (ma esisteva davvero?) che stavo seguendo, finchè non mi è sembrato di scorgere un angolo poco illuminato. Mi sono nascosta, contando i battiti del mio cuore e frugandomi in tasca per cercare il taccuino, non ricordando di averlo buttato e ho trovato solo un foglio. Questo. Ho pensato di scrivere qua gli ultimi avvenimenti di questi giorni, sperando che qualcuno possa trovarlo e salvarmi. Lo spazio sta finendo, dall'altro lato del foglio posso scorgere soltanto una strana ricetta.. sembra molto consumata dal tempo ma riesco ancora a decifrarne un pezzo che dice così: "Formula per scrivere un romanzo gotico del 1797".


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Grazie al maritozzo per l'ispirazione :*


Grazie a Cipì per l'illustrazione fantastica dell'homuncolus che potete vedere qua sopra (e spulciate bene il suo blog che è veramente bellissimo) =)

03 gennaio 2008

Palta

"Prima legge della Palta:
La palta scaccia la nonpalta.
L'intero universo è diretto verso un stato finale di paltizzazione totale e assoluta."
da "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" di P.K. Dick

Il mal di testa lo stava uccidendo. Era in ritardo, drammaticamente in ritardo. Ciondolò fino all'armadietto dei medicinali e lì scorse la sua più acerrima nemica: la palta. Una pila di cose inutili infatti troneggiava davanti all'armadietto e rendeva impossibile qualunque azione di avvicinamento.
Rinunciò alle pasticche arancioni, le uniche che potevano salvarlo dal tormento del mal di testa, si vestì rapidamente e salì in macchina. Era davvero tardissimo. Dopo pochi metri fu costretto a fermarsi. Un traffico incredibile, macchine, camion tutti che suonavano il clacson all'impazzata, non c'era più modo di tirarsi indietro ormai era dentro l'ingorgo infernale.
-Ma come è possibile!- urlò -oggi è il primo dell'anno e cosa ci fanno tutte queste persone in viaggio?-
Un uomo che sembrava non dormisse da giorni si voltò verso di lui e combattendo con il rumore assordante dei clacson urlò: E' Batman! è venuto a salvarci!
A poco a poco la voce si sparse, i clacson cessarono e l'uomo si fece avanti:
"Batman, solo tu puoi salvarci, oggi è il primo dell'anno e tutte le cose inutili del 2007 hanno sommerso le nostre case, tutta la palta accumulata e che dovevamo buttare si è ribellata, è cresciuta, mentre noi stappavamo spumanti e ballavamo contenti. Stamani quando ci siamo svegliati siamo stati costretti ad abbandonare le nostre case."

La testa di Batman stava esplodendo, anche la sua casa stava sommergendosi di palta inutile, così come quella degli abitanti di Gotham City? Cosa fare per fermare la conquista inarrestabile della palta? Il dolore non gli permetteva di concentrarsi, non aveva nessuna idea dello sviluppo della palta, che fosse opera del Joker?
-Devo trovare il Joker- pensò batman- e soprattutto devo mandare a casa tutta questa gente.
Ordinò quindi di tornare a tutti nelle proprie case così per tenere sotto controllo la situazione, Batman avrebbe risolto la situazione come sempre e sarebbe stato anche quest'anno l'eroe di Gotham City. Quando finalmente tutti ritornarono verso le rispettive case, batman aprì la portiera dell'auto. clak clak.
Chiusa. Provò ancora, con più forza, ma niente. Non si apriva. Si decise quindi a sfondare il finestrino.
Schegge di vetro saltarono in tutte le direzioni aprendo la strada a un esercito: un esercito di palta pronta per conquistare la città. Era la fine.


L'urlo si sentì in tutto il palazzo. Era il primo dell'anno e molte persone dormivano ancora. Batman aveva un fortissimo mal di testa, ma la sua casa era quella del giorno prima. Il 2008 non aveva invaso di palta nessuna casa e lui non aveva ricevuto nessuna chiamata di soccorso. Dopo tutto lui, non temeva nessuno, forse.


Questo breve e stupido raccontino era il mio augurio di BUON ANNO A TUTTI ;) spero che il mio migliorerà visto che sono riuscita a prendermi una maledettissima influenza rognosa :| per il resto spero che la palta non vi sommerga fino alle orecchie :P

11 dicembre 2007

Per me. Solo per me.

A te, che non ci sei più.
A te, che mi guardi. Da lassù.
Un altro anno è passato, ma il dolore è lo stesso, nel cuore.
Io sono qui (credo).. e tu dove sei?
Mi manchi.

Ho il terrore della morte. Lo ammetto.
Ci sono giorni che non penso ad altro. Ho una paura terribile di restare solo. Solo io. Io e basta. E io, senza nessuno che mi vuole bene, non mi basto. Tutti quelli che mi conoscono sono convinti che io sia una persona solitaria. A scuola non parlo quasi con nessuno e non appena suona la campana
esco il più velocemente possibile e vado a casa, così, senza salutare nessuno, senza voltarmi indietro. A volte conto i passi che mi separano da casa. L’ultima volta erano 2137, senza contare gli scalini. Ecco, quelli non li conto mai. Non appena arrivo al portone principale smetto di pensare ai passi, suono il campanello e aspetto. Adoro quell’attesa. Sono quei pochi secondi prima di sentire una voce calda e familiare dire: “chi è?” E’ stupendo. Io non rispondo mai, non dico mai niente. Resto zitto, fermo, in estasi. Come la prima volta che ho visto babbo natale scendere dal camino. Mi sembrava una magia.
Quando il portone si apre arriva il più bello. Io salgo gli scalini, i primi quasi correndo, poi sempre più lentamente, finchè, piano piano, sento le voci sempre più vicine. Sono le voci dei miei genitori. Le voci delle casa. Io credo che la mia casa sia viva. Parla, e man mano che mi avvicino cerco di essere il più silenzioso possibile per non perdermi nemmeno una sillaba di quello che dice. E’ bello. Credo che la mia casa sia per me la migliore amica. Non appena la porta si apre mi sento felice. Spesso c’è la mamma lì, sulla soglia ad attendermi; io la saluto appena e scappo via, nel mio RifugioSuperSegreto. E’ proprio lì che penso alla morte. Da quando è morto il nonno ho anche iniziato a scrivere. Un mese prima che si ammalasse era il mio compleanno e lui mi aveva regalato un diario bellissimo. C’è una dedica dentro. Per me. Solo per me. C’è scritto:
scrivi tutto, per essere immortale. Scrivi tutto per non perdere niente. Scrivi tutto… che io lo leggerò
.

Questa dedica l’ho letta migliaia di volte da quando se n’è andato. Ogni giorno scrivo qualcosa per lui. All’inizio sognavo che mi rispondesse. Chessò, bastava un minimo segno. Ma non è mai venuto. Però ho continuato a scrivere. Mi sembrava che fosse con me. Da allora parlo poco e scrivo tanto. Parlare è così inutile…in fondo posso scrivere anche a chi non c’è più.

E così penso alla morte. Ci penso tanto. Faccio congetture su possibili aldilà, su paradiso e inferno. Spesso immagino la morte degli altri. Delle persone a cui voglio bene e piango, piango tanto. Piango quando penso che resterò solo. Ciò che mi fa più paura è il non sentire più le voci, quel “chi è?” di mia madre quando suono il campanello. Temo la mia casa muta e piena di lacrime, le mie.

E invece no.

Credo di avere tanto tempo. Sono convinto di vedere la morte posata sopra gli altri e mi sbaglio.

La morte è accanto a me e io non posso dire niente. Sento la sua mano gelida, accanto al mio cuore e io non posso muovermi.

Oggi (o forse ieri? un anno fa? quando è successo?) avevo tanta voglia di tornare a casa, di sentire il “chi è?” e andare nel mio Rifugio. Però non so come, forse ero distratto contando i passi o non ho guardato prima di attraversare la strada. Io onestamente non mi ricordo niente. Ciò che so è che non posso parlare. Ho qualcosa in gola e vedo un soffitto bianco. Sono solo, senza nessuna voce amica. Senza la mia casa e il mio diario. Gli altri però sono vivi da qualche parte. Io vorrei tanto sentire le loro voci e potergli dire per una volta che gli voglio tanto bene. Vorrei dirgli del mio diario e del RifugioSuperSegreto che non troveranno mai. Ora mi sento molto stanco. Qua da qualche secondo c’è un rumore così assordante che mi sembra l’antitaccheggio del supermercato, ma sono in un ospedale e l’unica merce in vendita è la mia vita. Ora non vedo più niente, il rumore è così forte e io mi sento solo, terribilmente solo.

Vorrei chiamare la mia mamma, ma accanto a me c’è solo la morte. Per me. Solo per me.

22 novembre 2007

io sono... leggera, molto leggera.

"-Gli uomini muoiono nel peggior momento della loro vita?,
o è la morte il peggior momento della loro vita?
-Il mistero della vita e della morte nessuno mai seppe svelare. Noi sappiamo soltanto che nessuno vorrebbe morire. La morte è quel momento nel quale gli uomini aspirano di più a vivere. E' la grande porta della vita, ma giunti ad essa rimangono abbruciati dal calore. Se uno di questi potesse destarsi vi direbbe che sia la vita e il suo mistero. E forse chiederebbe a voi che sia il mistero della morte."
Aldo Palazzeschi "Il codice di Perelà"

-chi sei?
-sono una castagna.
-una castagna? ma... sei grande, ti fanno arrosto?
-spero di no. Io vorrei stare in una tasca.
-in tasca? senti signora castagna io ti do un consiglio... la vedi quella porta rossa là in fondo? bussa 42 volte. Ti aprirà Oidda, la strega, e ti trasformerà in una persona.
-io sono castagna. E' sempre stato il mio sogno essere così.
-perchè?
-beh. per stare in una tasca.
-in tasca?
-siamo tanto leggeri, in tasca.
-e cosa ne sai della vita se stai dentro una tasca?
-io non voglio sapere niente. Vorrei solo essere felice.
-invece bisogna essere informati. Cosa ci fai dentro una tasca?
-te cosa ci fai davanti a questa porta verde?
-io? che domande sono! è il mio regno verde! Io sono normale, sei tu che sei strana!
-io sono una castagna.
-senti signora castagna, cosa sei venuta a fare qua?
-cerco la mia valigia.
-o bella! una valigia.e dimmi... c'erano i soldi?
-no.
-gioielli? roba preziosa?
-beh... c'era la polvere. Era una valigia piena di polvere.
-di polvere? o bella! puah! una valigia piena di polvere! che te ne fai signora castagna?
-la polvere beh... i sogni sono di polvere.
-Non so da dove vieni signora castagna, ma da noi è vietato tenere la polvere. La polvere è il male. senti signora castagna, che ne dici di governare con me il mio regno verde? ti potrei insegnare un mucchio di cose e così non penserai a quella stupida polvere.
-non posso. devo cercare la mia valigia piena di polvere e poi devo tornare dentro la tasca.
-o bella! beh sei proprio ridicola.
-sono una castagna.
-va bene va bene, ho capito. allora vattene stupida castagna. non vedi che intralci? puah castagne..
-...

15 ottobre 2007

io spero.


Bam Bam!
E' il rumore degli spari.
Ogni giorno nella mia città si spara per avere un po' di benzina. La mia mamma dice che senza di essa non si può fare nulla. Io le chiedo cosa era il mondo prima, ma lei non lo ricorda. Non lo ricorda nessuno.
Qualche giorno fa è morto Roby. Il mio fratellino.
Ogni giorno prima di prendere il bus per andare a scuola passo sempre di lì. Il posto dove è morto.
Ieri ho scoperto che è nato un piccolo fiore.
E' un dono preziosissimo del mio fratellino. La mamma dice è un miracolo e non ci ha voluto credere finchè non è venuta lì a vederlo con i suoi occhi.
Tutti i giorni vado a portargli un po' d'acqua e ci parlo un sacco così sento meno la mancanza di Roby.
Tutte le persone guardano il mio fiorellino con ammirazione e curiosità, ma nessuno osa avvicinarsi. Dice la mamma è perché loro, i grandi, si sentono in colpa; dice che è stata colpa loro se ora il mondo è così brutto e senza fiori.
Io spero di vederne tanti di fiori così tutti potranno essere felici.
Ogni volta che lo dico la mamma piange; dice che sono anni che non c'è più nemmeno un filo d'erba.
Questo, infatti, è l'unico fiore che esiste in città.


Illustrazione di Daniele Alfani.(la foto non rende giustizia)
Questo blog ha aderito all'iniziativa del "BLOG ACTION DAY" per info: www.blogactionday.org Bloggers Unite - Blog Action Day

11 luglio 2007

Latte della mente

Di quei giorni ricordo il grande silenzio.
Una massa grande che mi circondava. Non erano tanto le rovine o quei corpi inermi. Era quel non rumore ad inglobarmi.
Non era la vita. Io non volevo la guerra. Non ero patriottico e del mondo esterno mi interessava ben poco. Il mondo vero era nei miei occhi, nei colori, in ciò che creavo.
Quando sentii le prime esplosioni pensai ad un nuovo ritrovato della tecnologia, chessò un esperimento per far spostare le case, una nuova favolosa arma atomica per conquistare il mondo, cose sciocche è vero, ma non pensavo all'apocalisse.
Forse per la paura che fosse successo qualcosa di grave, mi alzai con calma. Me lo sento ancora dentro quel momento, quei passi lenti verso la finestra. Dopo ricordo solo la polvere che copriva tutto. Poi, le urla, il fuoco, quelle fiamme nere che sembravano non finire mai e tutto il resto.
La morte.
Ho semplicemente pianto. Non sapevo cosa altro fare. Desideravo che tutto fosse un sogno.
Dopo qualche secondo ho preso il quadro che stavo dipingendo e l'ho ricoperto di rosso, cancellandolo pian piano, una pennellata alla volta. Mi rendevo conto che stavo cancellando la vita, il futuro, tutto ciò che era stato fino a pochi secondi prima. Capivo che la civiltà era finita. Capivo che nulla ormai poteva avere minimamente senso.
Quello che non avevo immaginato era il silenzio. Quel silenzio di morte, di fine del mondo che mi rimaneva in testa fino a farmi scoppiare. Un silenzio incolore, liquido, sommergeva tutti e tutto, come la polvere. -Solo i morti - pensai - potevano galleggiarci.
-Un po' di pietà- sussurrai mentre li osservavo come pupazzi dalla finestra.

Ormai sono passati anni, la civiltà è cambiata. Sono ricoverato nell’istituto di "RecuperoDeiVeriRicordi", ma io penso di essere in gabbia ,e spesso dipingo nuvole bianche. Di quella guerra non si ricorda nessuno. Dicono che non c'è mai stata, per questo mi trovo qua. Dicono che sono pazzo. Mi fanno prendere un sacco di medicine, tante che spesso credo siano tutto frutto della mia mente. Ma quel silenzio che sento dentro la mia testa, quel silenzio bianco, liquido come latte che mi impedisce di dimenticare e quei corpi galleggianti che mi appaiono di notte mi fanno pensare che sia accaduto tutto.
Ormai attendo solo la morte, non penso più che sia solo un sogno.. o forse sono già morto?

07 febbraio 2007

Attesa

Sputava.

Era diventato più forte di lui, nonostante questo fumava e tossiva orribilmente, noncurante di chi gli stava intorno. Non si lavava da mesi, puzzava e lo dicevano tutti, con disprezzo. Un odore forte, aspro e pungente. Faceva schifo. Guardava l’orologio con trepidazione. La stava attendendo con ansia. Minuto dopo minuto, la sua unica ragione di vita ormai, il suo primo pensiero al mattino e l’ultimo prima di addormentarsi. Lei era in ritardo, come al solito. Un nuovo attaccò di tosse lo colpì di sorpresa. Si girò di scatto e la vide. Gli si illuminarono gli occhi di speranza per un momento. Era lei, la prima corsa dei cavalli del mattino, che finalmente era iniziata.


Sono sparita.
Puff.
Come una castagna che cerca disperatamente di nascondersi nel suo guscio, cerco rifugio in qualche parola, in qualche sogno.
E' arrivato l'inverno. Freddo, nell'anima.
Vorrei avere qualche speranza, per chi non ne ha. Quando il quadro crolla, all'improvviso, senza motivo. Il chiodo ha ceduto, ti dicono, non c'è niente da fare. E non ci credi, anzi, non ci credo, che tutto possa finire così, per colpa di un chiodo, per colpa di un male che non curerà. Vorrei un lieto fine, che non avverrà.
Un vuoto.
Non sembra vero.


Immagine: Alvaro Tonti, "Attesa"

02 maggio 2006

Una città in bianco e nero...


Niente sole in quella città.. solo buio, tanto buio e tanta neve.. neve bianca che ricropriva la città e nascondeva tante insidie.. Jessie era furiosa quella sera, ed era scappata di casa. Sapeva cosa andava in contro, non si doveva mai uscire da soli. Il suo passo risuonava attenuito dalla neve..
Era deserto fuori, nessun rumore, come in un sogno..
un urlo.
Jessie si girò di scatto e vide un volto.
Lo conosceva, dentro di lei c'era quel volto.. ma chi era?? due uomini lo stavano trattenendo, cercava di liberarsi, ma nulla. Si accorse subito che non erano uomini qualsiasi quelli. Era la Vigilanza Governativa..
-maledetti- pensò..
Senza pensarci un attimo corse verso di lui.
I due uomini furoni colti alla sprovvista, senza pensarci, Jessie si lanciò contro un Agente, iniziò una piccola lotta, finchè un terzo Agente si avvicinò e con una specie di siringa colpì il collo dell'uomo..
ancora un urlo.
Jessie iniziò a scappare, sapeva che se fosse stata raggiunta sarebbe stata uccisa o chissà cosa? rapita e torturata come quell'uomo??
correva sempre + forte, cercando di seminarli.. entrò dentro un edificio, solo porte rosse.. era enorme e pieno di cunicoli.. chi era quell'uomo? si chiedeva, cercava di ricordare, ma nulla..
Arrivata in cima vide che era tornata al punto di partenza.. ma dov'è era finito quell'uomo???
di nuovo un urlo.
Jessie si girò di scatto e vide che l'uomo che aveva cercato di aiutare si stava come trasformando.. era come se il suo sangue stesse per esplodere..
-sta reagendo perfettamente agli stimoli!- disse un Agente.
Jessie era impietrita, sapeva che ormai era intrappolata nell'edificio e che non aveva più scampo.
Non si mosse nemmeno, quando gli Agenti se ne andarono, lasciandola lì, sola e incredula.
Passarono le ore, la ragazza non si era mossa, gli occhi fissi su un punto imprecisato, la neve aveva cancellato le impronte degli agenti... sentiva le forze svanire.. la mente perdersi in ricordi.. nella sua testa solo una domanda: chi era quell'uomo??

Jessie si rivide piccolissima, sul triciclo, la sua città era diversa da ora.. c'era il sole e tante persone fuori che correvano, ridevano.. era caldo e non c'erano gli Agenti.. o erano già arrivati??
era felice.. pedalava sempre + veloce.. quando gli si presento davanti un uomo... era l'uomo che era stato rapito!!!!!! inchiodò e cadde.

quando si rialzò, l'uomo non c'era più.
scomparso.

Doveva trovarlo. Iniziò a correre a piedi, senza badare alle persone che affollavano le strade, ad un certo puntò si trovò davanti ad un edificio.. era l'edificio con le porte rosse!!
Entrò.. era buio e freddo.. freddo intenso...chiuse gli occhi e avanzò lentamente... soltanto il rumore dei suoi denti che sbattevano...

un urlo..
mani enormi che l'afferrarono
silenzio
coraggiosamente la bimba aprì gli occhi..
era l'uomo rapito!!!
era suo fratello!!!
In quell'istante ricordò tutto, gli Agenti, il sole scomparso, la guerra...

Neve, ritornò alla realtà..
La grande Jessie si muove, negli occhi una sola consapevolezza.. doveva cercare suo fratello.
Si incamminò nella neve e sparì...